C’è sempre uno scambio molto profondo a lezione. A volte passa per qualche frase detta qua e là prima o dopo la fine della nostra pratica; a volte circola attraverso il silenzio, uno sguardo, l’espressione di un viso o gli occhi lucidi; altre volte ancora è semplicemente un sentire più sottile, che circola con una vibrazione diversa, meno tangibile ma ugualmente intensa.

La lettura da “Il profeta” ci sta accompagnando diritti ad osservare verità importanti e scomode.

La vostra gioia è il vostro dolore smascherato E il medesimo pozzo da cui proviene il vostro riso è stato spesso riempito dalle vostre lacrime. E come può essere altrimenti? Quanto più a fondo il dolore incide nella vostra vita, tanta più gioia potete godere.”

Sono frasi potentissime quelle da cui ci lasciamo attraversare nel momento in cui il corpo ha abbandonato le sue difese e si è lasciato plasmare dal respiro.

Sono frasi di grade responsabilità che non possiamo comprendere se le lasciamo in balia di una mente ancora troppo attiva, ancora troppo invischiata negli schemi.

Gioia e dolore, quel binomio che instancabilmente l’India ci ricorda essere portatore di attaccamento/ repulsione, sono forgiati dalla stessa mano. Sono la stessa cosa, ci dice Gibran, che di volta in volta però chiamiamo in modo diverso.

Abbiamo bisogno di orientare nuovamente il nostro sguardo, di smascherare la dualità riconoscendone quell’unità che ci invita sempre a elevarci e mai a schiacciarci, che ci spinge a daci nuove possibilità e mai a tagliarci le ali.

Allora, quanto più saremo capaci di lasciarci plasmare nel corpo e nella mente, tanto più lasceremo spazio in noi a nuova vita.

La nostra pratica, gli insegnamenti, i nostri cuori vicini e sempre in cammino.

Un dono bellissimo e prezioso.