Le storie narrate dagli antichi testi indiani sono sempre attraversate da tante domande circa l’origine del divino. Domande dei figli ai padri, delle mogli ai mariti, dei re ai sacerdoti e dei sacerdoti ai re. E ogni volta la risposta che viene data riguarda una non-definizione.

«Esso non è né grosso né sottile, né corto né lungo.. è privo di ombre, di oscurità, di vento, di etere; è senza sapore, senza odore, senza vista, senza udito, senza parola, senza mente, senza energia vitale; non è né interno né esterno;“ Neti…neti” cioè “non è così, non è così”

Siamo sempre alla ricerca di definizioni: di Dio, della vita, dell’amore, degli altri e di noi stessi. Invece l’India sapientemente ci ammonisce: neti, neti.

E allora chi sono io? Chi sono se non mi identifico come la figlia di, la sorella di, la madre di, la moglie di..?  Chi sono io se lascio andare tutto quello che riesce a contenermi dentro una limitatezza sicura: le cose che ho fatto o che non ho fatto, le cose che ho conquistato o in cui ho fallito, le gioie temporanee o i dolori che mi hanno segnata

Chi sono io se lascio andare quella mappa dettagliata e precisa che è la mia storia?
Chi sono se imparo invece a sperimentarmi senza alcun giudizio? Se imparo ad osservarmi con occhi diversi? Se non mi de-finisco ma lascio piuttosto che l’infinito mi tocchi e mi pervada?

A volte mi piace mescolarmi al vento, alla terra, agli alberi. all’erba.
Mi aiuta a perdermi in quella infinitezza calma e lucida, cosi senza appigli, né bussole, né mappe, sto.

Neti..neti..