“Su questa via non c’è sforzo che vada perduto, non c’è intoppo alcuno, anche solo una piccola osservanza di questa norma salva dalla grande paura.” [Bhagavadgītā II,40]

Quando qualcuno mi chiede che tipo di yoga pratico e insegno si trova di fronte a una me un po’ perplessa.

Mi è sempre stato difficile dare una risposta univoca e sicura. Mi sembra quasi di costringere una disciplina così ampia dentro a degli schemi tutto sommato recenti e nello stesso tempo di limitare ciò che sono dentro a ideali non miei.

Devo fare solo posizioni stabili e niente sequenze?

Devo stare dentro i canoni e non usare la creatività?

Io non credo sia questo il punto.

Io credo sia importante non snaturare lo yoga, non farlo diventare qualcosa di totalmente diverso da quello che è: un’ amorevole chiamata all’auto osservazione, a non a sfuggire ancora una volta da noi e contemporaneamente dal nostro stare nel mondo.

Chi pratica con me lo sa: possiamo fare sequenze per celebrare l’ energia vitale del corpo e delle stagioni o possiamo allenarci a stare nell’ immobilità di una forma per osservare più da vicino ciò che ostacola la nostra quiete.

Possiamo meditare con le parole di una poesia o possiamo scrivere le nostre parole.

L’importante è sentire che questa via su tutti i piani ci indirizza alla comunione e mai alla separazione , ci chiama alla responsabilità e mai al vittimismo, ci ricorda che siamo strumenti del e per l’Amore più grande.

Il nostro impegno mai andrà perduto. Mai.