La nostra pratica non è semplicemente una tecnica dove impariamo a gestire il respiro, ad occupare la mente in ciò che stiamo facendo, a scaricare tensioni fisiche ed emotive o ad allenare l’equilibrio.
Essa è piuttosto uno stato di cui fare esperienza.
All’inizio c’è sempre un fare; c’è sempre un metodo che ci sostiene e ci orienta ed è importante che sia così. È un fare utile a ricordarci che è dall’unione, dall’amore e dall’armonia che noi veniamo e che è lì che dobbiamo sempre ritornare e da lì ogni volta ripartire.
Poi pian piano tutto si trasforma in un lasciar accadere e la postura esteriore diventa l’occasione per preparare il giusto spazio affinché la mente si acquieti, il corpo abbia parola e il respiro torni ad essere quel soffio che canta l’eterno divenire.
È in quel momento che possiamo permetterci di abitare la nostra vera natura.
Abitare la pace, abitare la fiducia, abitare la felicità, abitare il mistero.
Nessuna performance.
Nessuna scusa.
Essere disponibili all’esperienza, all’incontro con noi.
Questo è il cammino.