“Spesso il corpo parla con lo spirito in una lingua trascendente che vuole un silenzio assoluto”
A volte succede che alla fine della pratica si resti in pace ad ascoltare il silenzio.
Nessuno desidera alzarsi più, non si desidera dire alcunché.
L’arrivo di questo stato di quiete, così distante dal nostro continuo correre e affaccendarsi, è per me davvero un piccolo miracolo.
E non conta solo aver mosso il corpo. Credo piuttosto centri l’intensità con cui ci siamo fatti coinvolgere durante la pratica: quanto siamo riusciti a riportare la mente distratta dentro a forme precise; quanta energia siamo riusciti a direzionare verso di noi invece che sprecarla in attese o rimpianti; quanto siamo stati capaci di riunire i nostri diversi aspetti e farli danzare insieme.
Tutti i cammini spirituali desiderano condurci proprio lì, a quel silenzio primo. Grembo d’origine di ogni cosa. Lo fanno perché la voce divina si fa udire in quello spazio, libero dal rumore dei pensieri, spoglio da richieste o necessità. Lo fanno per ricordarci di non aver paura dei nostri silenzi, né di quei momenti in cui la vita ci chiede di attraversare delle sospensioni per riallinearci a noi.
Assaporo quel momento di fine lezione…
Quanto mi rassicura pensare al silenzio così, come culla in cui potersi affidare, dono in cui potersi ritrovare. Inizio per tutti gli inizi.