Guardavo affascinata questi alberi e questi boschi intorno a me: “Da quanto siete qui?” mi è venuto da chiedergli.

I miti indiani raccontano spesso di un tempo infinito, un tempo in cui le divinità passano attraverso cicli giganteschi di continue nascite, morti e rinascite; eoni in cui si dissolvono e sorgono nuovi universi: un tempo talmente esteso e lento da diventare un “senza tempo”.

Ai nostri occhi questa visione può sembrarci inizialmente molto bizzarra: il nostro modo di guardare le cose occupa in confronto uno spazio ridottissimo. Lo spazio di una vita o al massimo di qualche epoca storica. E’ questa visione così frammentata a caratterizzare non solo il nostro sguardo ma anche il nostro modo di fare esperienza, di reagire e di pensare. Ragioniamo sempre a partire dagli individui o al massimo dalle vite, ma mai a partire dalla Vita.
L’India usa invece periodi temporali paragonabili a quelli dell’ astronomia o della geologia per insegnarci a pensare non più in termini di un piccolo io, ma di un’intera specie o, meglio ancora, della Vita in sé stessa.

Guardavo affascinata questi alberi e questi boschi intorno a me ieri mentre passeggiavo.

Se solo ogni tanto riuscissi a pensare da quelle altezze, beh allora comprenderei come piccoli frammenti diventano strade lunghissime e nulla va mai veramente perduto.

Se solo ogni tanto riuscissi a sentire da quelle altezze, beh allora mi stupirei di quanto fragili sono le mie paure e oserei di più.

Se solo ogni tanto riuscissi ad amare da quelle altezze, beh allora mi accorgerei di quanta amarezza ho raccolto invece di nutrire il perdono.

Se solo ogni tanto riuscissi ad abitare la vita da quelle altezze, beh allora scoprirei che niente ho sbagliato e niente è stato vano.