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La prima azione da compiere all’inizio di ogni pratica è quella di mettersi in una condizione ricettiva, una condizione di disponibilità all’incontro. Non è così scontato, né facile. Anche se nel tempo di qualche respiro riusciamo ad ammorbidire il corpo, in realtà ciò che ci viene richiesto è soprattutto un movimento di rilascio interno. È sentire che nonostante tutto possiamo permetterci di fermarci ed essere un porto per qualsiasi cosa arrivi.

È quell’attitudine intima a portare grandi rivoluzioni nella nostra vita.

Ho letto che per i cinesi il “conoscere” non coincide con il farsi un’idea di qualcosa, ma è piuttosto l’atto di rendersi disponibili a qualcosa. Così l’avvio di ogni lezione consiste in un deporre: corpo, pensieri, giudizi, aspettative.  Un abbandonare ciò che non serve, un permettere che mi mantenga aperto a tutto un ventaglio di possibilità e di esperienze senza irrigidirmi, né sottrarmi mai.

È un lasciar fare e contemporaneamente un rispondere pienamente ad ogni istanza, con tutta l’attenzione, la passione e l’energia di cui siamo capaci.

Che questo intimo raccogliersi al principio di ogni pratica diventi sempre il nostro atto sovversivo: entrare con grande libertà in un piano d’uguaglianza e integrazione che fa del nostro essere nel mondo il miglior servizio.