Adoro il rumore delle cicale che si sente tutt’intorno in questo periodo dell’anno. Mi piace ogni tanto immergermi e lasciarmi portare da questo suono ripetitivo che come un mantra mi ricorda di rallentare.
L’India ha da sempre dei tempi lunghissimi. I tempi del divino, raccontati nei miti e nella cosmogonia, sono davvero inimmaginabili per la nostra mente. Miliardi e miliardi di anni umani corrispondono ad un solo battito di ciglia della vita di Brahman.
I tempi del divino sono cioè i tempi della profondità e della trasformazione e perciò rispettosi dei passaggi. Così la nostra pratica ci indirizza alla lentezza per ritornare al ritmo del corpo, alla sua armonia. Forma dopo forma, respiro dopo respiro, ritrovando quella naturalezza che molto spesso dimentichiamo perché incastrati nell’illusione della velocità, nel risultato immediato ed efficiente delle nostre azioni.
La materia ha bisogno invece di passaggi graduali perché è solo così che si entra in profondità.
E’ la lentezza a farci ritrovare.
Mi fermo. Mi lascio toccare da un tempo che non corre, che non si affanna, che è qui per me; che è qui per farmi accorgere di come sto, di come sto vivendo, di cosa sto provando adesso.
Mi fermo prendendomi la responsabilità di quell’incontro che avviene lontano da ogni meccanismo, distante da ogni ripetizione.
Ascolto le cicale e mi ascolto.
È solo così che posso davvero prendermi cura di me.