“Amare la verità significa sopportare il vuoto.” (S. Weil)
Ero una giovane mamma laureanda in filosofia quando ho incontrato lo yoga. In quel periodo lavoravo con grande dedizione alla mia tesi “sulla vita e sulla morte” ma tra le tante domande che nascevano dai libri c’era sempre qualcosa che mi sfuggiva. Qualcosa che andava al di là delle intese riflessioni di cui sentivo parlare. Qualcosa che riguardava il profondo e il quotidiano, che è mistero eppure è palpabile.
E’ bello per me oggi pensare che quella chiamata a una nuova direzione sia arrivata proprio in quel momento. Credo sia stato come una stella lo yoga per me, capace di portarmi lì, dove il pensiero non è in grado di arrivare, perché ci vuole affidamento e la mente non lo sa fare.
Non sa posarsi umile.
Non sa spogliarsi di ciò che crede: rischia di perdersi e ne ha paura.
E’ arrivato lo yoga, diciamo per caso, e con quella delicatezza che sa farti fare un passo alla volta per non stravolgerti, mi ha accompagnata ad accorgermi del continuo lavoro di sottrazione a cui dobbiamo rispondere senza tirarci mai indietro.
Togliere lo sforzo del corpo quando si è in un’asana equivale al tacitare il troppo pieno dell’io. Siamo sempre colmi di esperienze, conoscenze, opinioni, credenze, aspettative, convinzioni, che davvero rimangono poche possibilità per una qualsiasi trasformazione.
Siamo sempre pronti a riempire spazi di ogni tipo -fisici, temporali, mentali- e non ci accorgiamo più che il cuore ama nutrirsi di silenzi più che di pensieri.
“Amare la verità significa sopportare il vuoto”.
L’ho fatta mia in questi giorni questa frase. L’ho ripetuta dentro di me mentre camminavo sola, mente aspettavo, mentre per qualche motivo ho dubitato del grande progetto divino. Quante volte il non sapere (cosa pensare, cosa fare, cosa accadrà) ci distoglie in realtà da un’immensità che può emergere solo se trova ampiezza dentro di noi.
Oggi desidero amare la verità qualsiasi mancanza incontrerò.