In queste ultime lezioni, prima di aprirci al dono della primavera, ho chiesto ai miei allievi di tornare all’asana come luogo dello stare, così come ci viene insegnato dalla tradizione. Abitare una forma del corpo, abitarla col respiro, con una mente attenta a quanti giudizi sappiamo darci, a quante volte ci allontaniamo da noi. Abitarla col cuore, sentirne il tempo qualitativo, trasformativo, non è così scontato e semplice.

Tante volte abbiamo fretta perché soffriamo, perché preferiamo non vedere, perché fatichiamo a contattare il dolore. Tante volte non conosciamo nemmeno il sapore delle esperienze, neppure di quelle belle, abituati a tanto fuggire.

Allora ogni tanto provo a fermarmi in mezzo alle cose di tutti i giorni. Provo a smettere di pre-occuparmi e senza attese, senza parole, accolgo tutto quello che c’è in me, accolgo la mia vulnerabilità, accolgo che il presente mi possa colpire. E da quell’istante, mi volgo al nuovo.