“Di là da ciò che è giusto e da ciò che è sbagliato, esiste un campo immenso. Ci incontreremo lì.” (Rumi)

Qualche anno fa, quando iniziai la scuola di counseling, rimasi subito colpita da questo modo di relazionarsi all’altro che mi ricordo’ per alcuni versi l’approccio dello yoga.

Esiste un terreno neutro, immenso, dove può avvenire il vero incontro, quello che lascia da parte ogni giudizio, ogni dualità, per cogliere invece l’unità tra tutto, l’unità tra tutti.
Da un lato c’è un termine ormai noto: “empatia”. L’empatia è quel sentire dentro, quel sentire dall’interno, in cui riconosciamo gli altri come nostri simili. È grazie a questo sentire comune che possiamo com-prendere il diverso da noi, cioè prenderlo con noi, aiutarlo, sentire il suo mondo, sentire la sua verità, provare compassione.

Dall’altro, lo yoga ci consegna la sua di parola: asmita. Il senso dell’io, del mio. Ecco la parola che crea distanza. Ecco il secondo veleno che sta per gli indiani all’origine della nostra perenne sofferenza. Il considerarci separati e distinti dal resto del mondo e dagli altri rappresenta una delle più profonde radici all’infelicità, generatore di tanto, tanto altro nella mente e nel cuore.

Così, tra gli estremi di queste due parole, il counselor e l’insegnante di yoga, si offrono per fare un pezzettino di strada con te, invitandoti su quel terreno delicato e personale, luogo della presenza e del presente, incoraggiandoti a restare lì per ritrovarti.