Deserto
Mi è arrivata così la tua voce,
in mezzo al vento.
Attraversava storie, razze,
vite passate, pezzetti di me.
Mi ha sussurrato parole incomprensibili per una mente satura.
Mi ha sussurrato che bisogna farsi deserto per parlare la stessa lingua.
Mi sono lasciata inebriare da quel fascino selvaggio.
E non mi importava più di dare un senso al tempo,
non mi importava della sabbia, del sudore, del mio odore.
Spogliata di ciò che mettevo sul podio,
eccomi, finalmente io.

Cinque anni fa, all’alba dei miei quarant’anni, ho passato una settimana qui, in mezzo a sabbia e stelle, silenzio e attese.
Di quei giorni ricordo molto: la compagnia di tre donne meravigliose, la saggezza semplice e concreta dei beduini, il cibo colorato, le cene illuminate dal fuoco, le nostre poche cose sopra i cammelli. E poi i passi lunghi e a volte stanchi, intervallati da parole vere; la straordinaria libertà nel dormire sotto un cielo mai visto prima; lo sguardo ai piedi e lontano, qui e oltre. Ma oggi, non so perché, il cuore desidera tornare a quel sentire leggero che emergeva vivo e splendente dalle mie risate. Tante volte da fuori mi sono guardata e quasi non riconosciuta.

Non c’era il superfluo a intralciarmi la via, non c’era l’elemosina della mente. C’era un sentire diretto e puro, c’era “Inshalla”-se Dio vuole- e questo bastava per sentire la gioia.