Ciò che non ha confini non può stare nelle stanze chiuse della mente.
Ciò che non ha confini ha bisogno di cuore, di poesia, di respiri sentiti,
di parole che ricamano bellezza,
di gesti sacri.
Ha bisogno di un io per essere espresso, danzato, donato;
ma ha bisogno che quello stesso io si perda pian piano, come una linea sottile all’orizzonte.
Così, in questo gioco di attraversamento e fusione, a restare sarà la leggerezza e la gioia di un bambino.

La mente ha sempre bisogno di sentirsi dire “domani farò, domani andrò, domani sarò”. Ha sempre bisogno di un futuro, di progetti in cui essere al sicuro.
In questi giorni che sembrano un po’ tutti uguali, mi sono chiesta più di una volta quanto mi permetto di godere delle cose senza che il mio pensiero mi porti al dopo, addirittura già alla fine. Mi sono accorta con tanta chiarezza e lucidità di quanto spesso il mio non godere appieno delle cose non sia dovuto a circostanze esterne a me. Sono sempre io a pormi un limite, è il mio modo di pensare e di pensarmi che a volte mi mette freni invece che rinforzare ali.

Guardo questa foto. È mio figlio a sette anni. Appena visto il deserto ha cominciato a correre senza paura, lontano da noi, solo.
Che oggi questa sia la mia lezione: cercare quell’infinito dento il quale abbandonarmi con fiducia. Cercare quell’infinito ovunque io sia.