Cosa mi nutre e cosa invece mi scarica? Mi sono posta questa domanda poco tempo fa, al ritorno da un seminario di yoga. In quel momento il sentirmi bene e appagata con me stessa mi ha fatto riflettere su tutte quelle occasioni in cui ciò che mi rimane dentro è invece un gran senso di delusione e di sfiancamento.

Cosa distingue un approccio yogico da altri? Naturalmente una buona pratica ci permette di lavorare a livello fisico, mentale ed energetico, ma non è tutto qui. La filosofia dello yoga ci indica una strada ben precisa fatta di impegno (tapas), ricerca di sè (svadhyaya) e abbandono (Isvara pranydhana). Tre tappe fondamentali e assolutamente inscindibili tra loro che ci aiutano a non perderci durante il cammino. Il nostro “fuoco interiore”, spinta indispensabile per la nostra evoluzione, deve essere sempre accompagnato dalla consapevolezza di chi siamo, di cosa siamo e di che strumenti possiamo utilizzare. Nello stesso tempo non c’è ricerca senza spinta, senza fuoco di desiderio.

Lo studio di sé implica il coraggio di guardare, di accorgerci, di svegliarci ma anche di abbracciarci. Solamente dopo che ci siamo inabbissati in noi, che abbiamo riconosciuto le nostre ferite, scovato gli schemi su cui sempre ricadiamo, siamo pronti per guarire. Lo yoga non desidera un ritorno al passato. Tante ombre possono ancora rimanere nascoste in noi e non vale la pena fermarci su queste perché, oltre a farci perdere energia, diventeremo complici del gioco incessante dell’ego, che vuole vedere il nostro io sul podio, le nostre difficoltà, i nostri limiti e le nostre mancanze sempre al primo posto dei nostri pensieri quotidiani. La strada giusta è invece quella di riconciliarci con la nostra storia e trasformare le nostre ferite in perle preziose, perchè lì, dove siamo stati colpiti, siamo anche inevitabilmente più in contatto con il nostro cuore e la nostra vera natura.

E’ nell’accoglienza di tutto l’irrisolto in noi che infine possiamo contattare una nuova vibrante energia, dove non è più necessario il nostro direzionarci, il nostro fare, ma ci scopriamo portati e possiamo semplicemente abbandonarci al flusso di quell’immenso amore che agisce per noi. La terza e ultima tappa del cammino, ci chiede di affidarci a questa danza in cui facciamo un passo e per poi lasciarci andare.

Così, tappetino in mano e sorriso nel cuore, non posso che meravigliarmi ogni volta per questa mia rinnovata leggerezza e desidero di ballare.

 

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