Venerdì mattina. È già più di un mese ormai che faccio arteterapia in una comunità di recupero.
Si arriva circondati da colline ed animali e la natura ti regala il suo splendore, ogni volta diverso, ogni volta meraviglioso. Poi si entra e per un attimo il cuore si ferma perché tutto ha perso il profumo delle cose buone e l’armonia delle cose belle. Tutto, dentro, è ogni volta sempre lo stesso.
Mi sono chiesta a lungo cosa volesse dire per me portare colori, musica, tatto, movimento a chi per anni ha affidato la sua vita ad altro, perdendo affetti, lavoro, casa, dignità.
Per me è semplicemente raccogliere un raggio di quella luce in cui mi sento avvolta, ed espanderla in quel dentro così grigio perché vada ad illuminare un oggi iniziato senza scopo né desiderio.
Mi sto affezionando a quelle vite che sentivo all’inizio distanti anni luce dalla mia. Mi stanno insegnando un verbo da me poco usato: recuperare.
Recuperare è prendere indietro, tornare all’origine, ri-tornare in quel luogo interiore dove qualcosa si è spezzato.
Recuperare è accorgersi che dietro al più grande sbaglio era come se non ci fossi stato veramente tu.
Recuperare è prendersi un pezzettino di speranza e farla crescere con pazienza ed impegno.
È tornare ad essere presenti perché quello che faccio, dico, sento, come mi muovo, come penso, non viene più dalla mia storia ma dalla parte più profonda di me.
È nell’arte del recuperare che posso tornare a plasmarmi per essere ancora felice.
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