Gli studiosi affermano che sono i primi quattro aforismi di Yoga-sūtra a farci comprendere gli altri 192.
I primi quattro racchiudono tutto il pensiero di Patañjali. Ne rappresentano l’essenza; forniscono, in una manciata di parole, la definizione perfetta di quello che è lo yoga.
Nel loro essere allo stesso tempo sintetici e vasti, pratici e misteriosi, rappresentano quella libertà tipica del pensiero indiano: ognuno di noi può entrarci con la propria verità, personalità e comprensione.
È da settembre che ci stiamo occupando di questo testo, sviluppandone i risvolti e le connessioni. Sperimentandolo con la pratica. E più procediamo più mi rendo conto di quanto gli enormi temi successivi (la conoscenza della nostra mente, gli ostacoli lungo il cammino, gli strumenti che abbiamo a disposizione per indirizzare i pensieri, il giusto rapporto con gli altri e con noi) non facciano altro che rimandare a queste prime quattro sibilline frasi.
Oggi sono ritornata a questo verso.
Ne ho sentito un’estrema necessità in questi ultimi due giorni.
“Allora, -quando si è in quello stato di quiete mentale- lo yogin è fondato sulla sua propria (Vera) forma” (I,3)
E’ il più concreto e gigantesco messaggio che mi arriva:
“Cercati, ma non cercarti tra gli altri.
Non tra gli ideali di qualcuno,
nemmeno tra le immagini che ti sei costruita da tempo.
Cercati restando in quella stabilità silenziosa e quieta in grado di mostrarti altro di te.
Al di là dell’inutile rumore di paure, memorie, giudizi, sensi di colpa…ci sei veramente tu.”
La nostra pratica: un’ancora al momento giusto a cui poterci affidare.