“Invochiamo il divino-ovunque possa essere e comunque lo possiamo concepire – non perché siamo pigri o incapaci di esaudire da soli il contenuto delle nostre preghiere ma perché, colmi d’amore, sentiamo dentro di noi un abisso tra il finito e l’infinito, e semplicemente apriamo le chiuse che bloccano la nostra finitudine.”

Ho raccolto una peonia stamattina da un angolo del mio giardino per portarla vicino a me.
In queste ore si è fatta grande e bellissima.

Quella dei fiori e degli uccelli credo sia una forma di lode. La più semplice e immediata. Ognuno con il suo proprio “Eccomi!” Ognuno con il suo personale “Grazie.”

In quanti modi diversi noi esseri umani possiamo invece pregare Dio: Il canto, l’invocazione, la ripetizione, la danza, la gestualità.
Tutte sono possibilità di incontro.

Amo particolarmente alcuni canti della nostra tradizione cristiana, così come alcuni mantra indiani.
Li sento appartenermi entrambi. Con grande serenità coabitano tutti dentro il mio cuore.

Dallo yoga ho imparato che anche il respiro può farsi preghiera; anzi il respiro è la nostra preghiera. La più naturale, la più istintiva.
È la risposta del corpo al dono della vita, è quel legame ininterrotto e instancabile tra noi e la Sorgente.
Inspiro ed espiro e il suono diventa veicolo di una parola silenziosissima, intima, solo nostra, in ogni momento.

Noi, come i fiori, come gli uccelli.

Inspiro ed espiro
Om, Amen.
Inspiro ed espiro
Sei in me. Sono in te.