Ce lo siamo ripetute anche ieri mattina, prima di salutarci per dedicarci alla nostra giornata. Ognuna dentro ai suoi ruoli, ognuna con quella responsabilità che chiama noi donne ad essere le instancabili connessioni di mondi interiori così diversi. Punto fermo di compagni, mariti, figli, genitori.
Ce lo siamo ripetute perché abbiamo sentito forte quella connessione capace di andare ben oltre lo schermo di un computer, di superare i limiti fisici che pone la ragione.
E poi quei tre passi –tapas, svādhyāya, Īśvarapraṇidhāna-, legati insieme dallo stesso Patañjali, che hanno indirizzato il nostro corpo, la nostra ricerca, il nostro mollare le pretese.
Tapas: quel fuoco che ci consente di seguire il richiamo della Vita senza farci distrarre da nient’altro;
Svādhyāya: il nostro saper osservarci per comprenderci e migliorarci, aiutate da una sapienza millenaria, da chi ha compiuto la strada prima di noi;
Īśvarapraṇidhāna: la resa più vera, il nostro abbandonarci con fiducia come fa la natura, come fanno i mistici e i santi.
E mentre guidavo il rilassamento finale mi sono giunte dal cuore queste parole:
“Il mio essere viva guarisce il mondo”
Il nostro essere vivi, accessi, allineati alla vita, è ciò che porta cambiamento, che porta evoluzione, che crea libertà per tutti.
Oggi, immersa in quella quiete dei giorni di festa, osservo ciò che cresce intorno a me ricordarmi questa socialità.
“Il mio essere viva guarisce il mondo”.