Molto spesso ci spaventiamo di fronte alle indicazioni dei testi e dei maestri.
Crediamo di dover compiere chissà quale lungo e impossibile viaggio, di dover rinunciare a chissà quali cose o di diventare degli asceti distaccati dalla bellezza e dal gusto della vita.

Quando Patañjali ci parla di “purezza della mente” lo fa con un intento molto preciso che è quello di spronarci all’auto-osservazione.
Rendere chiari, visibili alla consapevolezza i nostri stessi pensieri è ciò che maggiormente ci aiuta a scoprire le nostre debolezze e le nostre forze: è ciò che più di tutto ci aiuta a capire chi siamo per davvero, al di là di ogni definizione razionale.

Una mente pura è una mente che non è attaccata né alle cose né alle memorie. È una mente che agisce con presenza e verità.

Amo molto il modo in cui una filosofa moderna analizza questa cura dei pensieri affermando come ci sia bisogno di nutrire una ragione materna in noi.

“La ragione materna è quella che anche di fronte alla realtà più oscura sa amare la vita con fede, speranza e gioia. E’ una ragione che nutre la vita, che fa vivere il pensare. E’ una ragione dolce.”

Mi piace ricordare che esiste un lato femminile di questo lavoro così analitico e rigoroso. In fondo osservare i nostri pensieri senza quello sguardo compassionevole, che consola senza punire, che risana senza farci sentire in colpa, creerebbe solo rigidità e infelicità.

Convertire la mente: un gioco d’amore della dualità.