L’impegno che ci prendiamo sempre in un percorso di yoga è quello di dare un orientamento costruttivo a tutto il nostro essere.

Pensieri, azioni, emozioni, vengono raccolti, lucidati come perle preziose e messi a disposizione del mondo.

E’ per questo che ci sono gesti precisi, che impariamo modi diversi di respirare e di guardarci dentro: per ricordarci che esiste una bellezza davvero semplice che rischiamo di perdere se non le diamo nutrimento.

Nella loro apparente complessità i testi classici funzionano come degli specchi in cui poterci osservare. Nel leggerli possiamo cominciare a sentire cosa risuona in noi in questi antichi e attuali insegnamenti.

Cosa risuona quando ci viene detto “stabilizzati nella pratica (abhyāsa) e sii distaccato” (vairāgya)?

Cosa risuona quando scopriamo che è essenziale osservarci dentro prima di dare sempre la colpa fuori; che è importante mollare la presa invece che aggrapparci a persone, aspettative o ideali?

Cosa si muove dentro quando comprendiamo che dobbiamo frequentare pazientemente i nodi del cuore con quella compassione lucida che sa prendersi la responsabilità della propria felicità?

Abhyāsa e vairāgya.
In altre parole: Sii radicato e sii libero